Executive Chef con importanti esperienze a livello internazionale. Nato in Russia, precisamente in un paese vicino a San Pietroburgo, all’età di 8 anni è stato adottato da una famiglia di Napoli. A 15 anni sapeva già cosa voleva fare nella vita: lo chef. Per alcuni anni ha coltivato la sua passione per la cucina di nascosto dai genitori, imparando dalle tate e dai nonni. La sua decisione di diventare chef spiazzò i genitori che l’avevano iscritto in una delle scuole più rinomate di Napoli, immaginando per lui un futuro ben diverso. Ma Anatolji era determinato e, per realizzare il suo sogno, andò in Francia. Dopo un anno tornò a Napoli dove restò poco. Il titolare inglese del ristorante in cui lavorava, gli disse che era sprecato per restare dov’era e gli pagò il biglietto per andare a Londra dove Anatoljii lavorò dal 2012 al 17.
A Londra ha avuto l’opportunità di collaborare con celebri chef tra cui tra cui gli stellati Antonio Mellino e Giorgio Locatelli. Ha anche contribuito all’apertura di due dei più importanti ristoranti di Londra prima di tornare in Italia dove, nel 2016 è stato nominato Executive Chef del “Ristorante Teatro alla Scala – il Foyer” di Gualtiero Marchesi. Dopo la scomparsa del Marchesi ha intrapreso la strada della consulenza..
Qual è la migliore qualità che ti riconosci?
La determinazione. Qualsiasi cosa io decida di fare, la faccio e mi impegno per raggiungere l’obiettivo. Volevo diventare uno chef e ho realizzato il mio sogno prima di altri miei colleghi. Quando sono approdato nel ristorante di Gualtiero Marchesi avevo 25 anni e ho preso il posto di uno chef che ne aveva 46.
Cosa ti motiva ad agire quotidianamente?
La passione per la cucina. A volte mi sveglio di notte per studiare o pensare a nuove ricette.
Mi ritengo una persona fortunata perché sono riuscito a trasformare la mia mia grande passione e il mio hobby nel lavoro della mia vita. Questo non lo dimentico mai.
Sono cresciuto in Russia con altri bambini abbandonati e so cosa vuol dire aver fame. Anche per questo credo che non ci sia nulla di più bello che dare da mangiare alle persone e renderle felici. Quando cucini il risultato è immediato perché vedi che le persone cambiano espressione quando mangiano qualcosa di buono.
Quando un cliente mi dice che la mia parmigiana gli ha ricordato quella della nonna o della mamma vuol dire che ho acceso una scintilla e quando succede so di aver conquistato il cliente.
Quali valori ti riconoscono i tuoi famigliari e amici?
La mia famiglia, la mia compagna e gli amici riconoscono come miei valori principali la passione, la pazienza, la costanza e la determinazione.
A proposito di determinazione ti racconto un aneddoto. Un giorno in un bar, in cui ero entrato con un amico per bere un caffè, trovai un cartello in cui c’era scritto che cercavano un cuoco in Francia. Chiamai e, quando mi chiesero quando sarei potuto partire, risposi: “Domani!” E lo feci. Fu un lungo viaggio: da Napoli a Milano, poi Tolosa in aereo e infine in treno fino alla destinazione, un piccolo paese vicino a Lourdes. Sono cresciuto tanto in quell’occasione.
Quali valori ti riconoscono i collaboratori?
I miei collaboratori mi riconoscono come un leader vicino. Io non mi atteggio mai a capo. Sono quello che unisce e porta avanti il team.
Dedico molto tempo al team. Anche oltre l’orario di lavoro. Ovunque vado creo una famiglia e faccio in modo che anche persone molto diverse tra loro riescano a lavorare insieme. Anche per questo lascio sempre un segno dove vado.
Come faccio? Rompo il muro della diffidenza e prendo le persone sotto braccio, portandole con me.
Se crei un rapporto di fiducia forte puoi anche chiedere di più ai membri del tuo team. Ricordo che per l’apertura di un ristorante siamo entrati alle 7 del mattino e siamo usciti alle 8 di sera. E nessuno ha chiesto di essere pagato per questo lavoro extra.
Ho capito la mia capacità gestire una squadra quando il mio chef mi assegnò il ruolo di team leader: guidavo un team di 15 persone diverse per età (dai 54 anni ai 19 anni), nazionalità e caratteri. Servivamo 300- 400 persone in 4 ore e le persone davano l’anima.
Cosa fai per produrre l’effetto wow?
Chi torna in un locale lo fa non solo perché mangia bene, ma perché sta bene in quel luogo.
L’effetto wow si produce quando un cliente si sente la persona più importante all’interno del ristorante, se dimostri di conoscere i suoi gusti, quello che gli piace … E se riesce a staccare la mente da altri pensieri (lavoro, famiglia…) per vivere l’esperienza del momento presente, gustando davvero il cibo. Questo è il mio obiettivo principale. Io amo andare a ristorante da solo perché voglio concentrarmi su ciò che mangio e godermi l’esperienza. E cerco di fare in modo che anche i clienti abbiano questa possibilità.
Come soddisfi e anticipi le aspettative dei clienti?
Le cose vanno di pari passo. Se conosci bene il cliente riesci a soddisfare le sue aspettative e talvolta anche anticiparle. E puoi conoscerlo meglio anche con una semplice chiacchierata sui suoi gusti.
Ad esempio, ci sono clienti che non amano bere il prosecco nel flut. Se conosci questo particolare, quando torna puoi fare in modo che sul tavolo trovi il bicchiere che preferisce.
Io ho un database in cui annoto tutti i gusti dei clienti più importanti. Lo facevamo anche da Marchesi dove, tra i clienti affezionati, c’era un noto imprenditore milanese che abitava vicino al ristorante.
Lui, ad esempio, non ordinava mai ciò che c’era sul menu. Prendeva sempre petto di pollo, insalata, due pomodori, culatello di zibello, un pezzo di formaggio, qualche fetta di pane, grissini, acqua temperatura ambiente. Quando prenotava un tavolo noi facevamo in modo di fargli trovare grissini, acqua e il suo antipasto preferito. In questo modo si sentiva a casa.
Quali consigli daresti per mantenere la fiducia del clienti?
Io non mi sono mai presentato davanti ad un cliente in borghese, ma sempre con la divisa da chef.
Devi mantenere il tuo rapporto con il cliente all’interno della tua attività, deve esserci sempre un minimo di distacco.
Hai una ricetta del successo?
Se uno è determinato il successo riesce almeno a vederlo con il binocolo e si attrezza per raggiungere la meta.
Quando avevo 15 anni ho detto che volevo diventare chef e ho corso in quella direzione. Quando sono arrivato, ho piantato la bandierina e sono andato avanti con determinazione, dedizione e senso del sacrificio. Questa è la mia ricetta del successo.
Quali consigli daresti a tuo figlio se volesse fare il tuo lavoro?
Non vorrei che mio figlio facesse il mio lavoro. O almeno non vorrei che scegliesse di fare il mio lavoro per quello che vede in tv. Quello che mostrano in tv nei reality di cucina è tutto falso.
Ecco, questa è la prima cosa che direi a mio figlio. Poi gli direi che la passione per la cucina non basta. Quella puoi soddisfarla anche cucinando a casa per te stesso e la tua famiglia. Per diventare chef serve anche lo spirito di sacrificio, devi avere un tassello nella testa che ti fa sopportare il fatto di lavorare 12 ore al giorno e anche nei giorni di festa, quando tutti gli altri stanno in famiglia.
Il lavoro di chef non è per tutti. Non tutti i cuochi diventano chef.
Ora ti occupi di consulenza. Cosa ti manca del lavoro di chef?
Il rapporto con le persone, il team di cucina e i clienti. E poi mi manca l’adrenalina. Il lavoro di chef è adrenalinico. In cucina devi dimenticarti di avere l’orologio.
Quali sono i tre aggettivi con cui vorresti essere ricordato?
Determinato, coerente, disposto al sacrificio.
Ho già parlato della determinazione e dello spirito di sacrificio.
Quando mi offrono un lavoro di consulenza accetto solo se so di poterlo portare a termine.