Chef stellato del ristorante Montalbano di Stabio. Ha conquistato la sua prima stella Michelin a 29 anni nel ristorante Conca Bella di Vacallo e nel 2017 è stato premiato come miglior chef emergente del Ticino per la guida GaultMillau. Ha lavorato anche all’Hotel Ristorante Lac a Melide.
Si definisce un figlio d’arte perché è nato in una famiglia che opera da tempo nel settore dell’hospitality. I nonni possedevano un albergo e ha due zii cuochi che hanno rispettivamente un ristorante. Ma chi ha davvero trasmesso la passione per la cucina ad Andrea è stato il padre che non era chef, bensì un broker assicurativo.
Oltre alla cucina Andrea ha un’altra passione: la fotografia, che ha portato anche nella sua professione di chef. Realizza foto in still life di piatti che vengono pubblicate da riviste di cucina con cui collabora.
Qual è la qualità migliore che ti riconosci?
L’affidabilità a 360 gradi.
Se mi assegni un compito o una sfida li porto a termine.
Sono anche una persona puntuale, dote fondamentale in cucina.
Quando entra una comanda con una sequenza di piatti devi uscire con i tempi giusti. Se passano più di 12 – 14 minuti tra una portata e l’altra le persone si annoiano e la qualità dell’experience si abbassa. Io definisco sempre i tempi di successione delle portate, facendo in modo che le prime escano con tempi più ravvicinati per poi ridurre progressivamente il ritmo verso la fine.
Questa attenzione al ritmo delle portate non è una cosa scontata nel nostro settore. Molti trascurano questo aspetto che però ha un peso nella soddisfazione del cliente.
Cosa ti motiva ad agire quotidianamente?
Ci sono due fonti di motivazione: la gratifica data dal cliente felice che ritorna nel ristorante e magari ti manda altri clienti e poi ci sono le gratifiche personali che nel mio settore sono date dai riconoscimenti delle guide. Conquistare una stella mette molta benzina nel motore di uno chef, anche se devo dire che è più difficile per un ristorante mantenere una stella che conquistarla.
Io ho conquistato la mia prima stella Michelin a 29 anni e anche se oggi non lavoro in un ristorante stellato resto comunque uno chef stellato. Parafrasando un noto spot posso dire che dico che per uno chef una stella è per sempre. È come un tatuaggio che lo segna in mille sfumature.
Uno chef stellato non è preciso, puntiglioso e ordinato solo in cucina ma lo è in generale nella vita.
Quali valori ti riconoscono in famiglia e nella cerchia di amicizie?
La totale trasparenza, il modo di essere schietto, sincero, autentico,
Queste sono anche caratteristiche che cerco nelle altre persone sia in ambito professionale che personale.
Quali valori ti riconoscono in ambito professionale?
Anche i miei collaboratori apprezzano il mio modo di fare schietto e sincero. Fare squadra in cucina è importante perché trascorriamo più di 12 ore al giorno insieme. E se non c’è feeling non si può dare il meglio al cliente. Nella mia esperienza ho sempre creato un legame forte e unico con i miei collaboratori, quasi un rapporto di fratellanza, anche se nel tempo ho imparato a tenere la giusta distanza con i collaboratori. Come si dice, “troppa confidenza toglie la riverenza”.
Serve equilibrio. La metafora più giusta per rappresentare un team di cucina è quella della
camerata militare. In cucina bisogna saper stare al proprio posto e ogni persona deve essere anche premiata in base al merito.
Bisogna essere sempre pronti a reagire se c’è un problema. Devi essere reattivo. Questa è una capacità che si sviluppa con il tempo, ma ci sono persone che cambiano mestiere perché non reggono la pressione.
Nel 2005 ho lavorato in un 3 stelle Michelin. Le Calandre, 13esimo ristorante al mondo dove c’erano 20 cuochi per 30 commensali. Stavamo 18 ore al giorno in cucina, 6 giorni su 7. È stata un’esperienza significativa per la mia crescita, un’esperienza da cui ho appreso più che ricette, la mentalità, un approccio alla costruzione del piatto al top e lì capisci dove devi arrivare.
Possiamo dire che hai potuto modellare l’eccellenza.
Sì io dico che la cosa importante è contaminarsi il più possibile, lavorando con diversi chef (non solo uno) da cui puoi prendere il meglio e aggiungere il tuo per realizzare qualcosa di interessante.
E riconoscibile
Esatto!
Una delle cose più belle nel mio lavoro è quando un cliente si ricorda di un piatto ha mangiato.
Vuol dire che hai lasciato il segno.
Un’altra cosa che vuole il cliente è la coerenza e la costanza. Una persona deve sempre mangiare bene in un ristorante oggi, domani, con sessanta persone o più.
Come coltivi rapporti di qualità con i clienti?
Li faccio sentire ospiti e non semplici clienti. Creo un rapporto. Esco dalla cucina per un saluto, un consiglio o per conoscere un nuovo cliente.
Avere CRM è funzionale a creare rapporto con il cliente per non farlo sentire cliente ma un ospite speciale.
Una volta sono stato in un hotel. Ho ordinato un Braulio, ma non c’era. Dopo 3 anni sono tornato e mi hanno detto: “Sig. Bertarini, questa volta abbiamo il Braulio.” E queste sono cose che fanno la differenza.
Sulle mie schede cliente segno i gusti dei clienti: se apprezzano una cosa, se gradiscono un antipasto con pesce crudo o no…
Conoscere e trattare nel modo giusto il cliente, sia in termini di qualità che di prezzo, è fondamentale per fidelizzarlo. Dobbiamo anche fargli capire che c’è differenza tra un prodotto che costa 10 franchi e uno che costa 35 franchi.
Sulle mie schede cliente segno anche quando c’è un anniversario o un compleanno e in queste occasioni offro un dolce in omaggio. Se il cliente ha mangiato tanto mi limito ad una candelina con scritta con cioccolato. Perché se il cliente non ha appetito si sforza e quindi lo metti a disagio.
Tutte queste attenzioni producono il cosiddetto effetto wow!
Io presto attenzione anche a ciò che ha ordinato il cliente e doso le porzioni per farlo arrivare a fine percorso senza avere la sensazione di essere troppo pieno. Questo si impara più mangiando che lavorando. Ho mangiato in 250 ristoranti stellati e queste esperienze mi hanno insegnato molto più che il lavoro in cucina.
Anche per questo nei colloqui chiedo ai ragazzi dove hanno mangiato e non solo dove hanno lavorato. Lo chiedo anche ai camerieri, non solo a chi è in cucina. Il ruolo del cameriere è importane perché se non è capace danneggia anche il lavoro fatto in cucina.
Hai una ricetta per il successo?
In primo luogo va detto che il successo professionale e quello economico non vanno di pari passo.
Se punti a fare ristorazione di qualità e ad andare sulle guide il guadagno è risicato.
Con un ristorante stellato fai poca economia. Anche questa considerazione mi ha portato mantenere un lavoro da dipendente e a non aprire il mio ristorante. Oggi il mio obiettivo è offrire un servizio di alta qualità.
Puoi comprare tonno di batteria che costa meno e il cliente fatica a distinguere da quello di qualità che costa molto di più, ma io non posso tradire fiducia di cliente.
Che consiglio daresti a tuo figlio se decidesse di intraprendere la tua professione?
Gli direi: “Se fai questa scelta devi avere una grande passione perché questo lavoro toglie tanto spazio agli affetti. E poi serve tantissima determinazione.
I risultati arrivano con il tempo e poi bisogna muoversi, fare tante esperienze.
Quali sono gli aggettivi con cui vorresti essere ricordato?
Affidabile, estroso (i miei piatti non possono essere mai banali) e passionale.
Come concili gli affetti e il lavoro?
Ho avuto la fortuna di sposare una donna che fa il mio stesso mestiere e quindi capisce certe dinamiche.
Io e Laura cerchiamo di sfruttare il poco tempo che abbiamo a disposizione. Non abbiamo sette sere da trascorrere insieme, ma solo due e quindi cerchiamo di fare ciò che ci fa stare bene come, ad esempio, cenare nel ristorante preferito. Questi momenti sono preziosi.
Credo sia importante prendersi del tempo per sé e per la propria famiglia, perché lavorare troppo, alla lunga non fa bene. Se non impari a staccare la spina abbassi anche il tuo rendimento.
L’equilibrio lavorativo e famigliare è il mio stile di vita.